Forma dell’atto amministrativo elettronico

news_image_34 novembre 2016

Il nuovo Regolamento (UE) n. 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari  (eIdAS), propone una nuova riflessione in tema di documenti amministrativo elettronico, esplicitando all’art. 3 dedicato alle definizioni, come ricordato nel quesito, che per “documento elettronico” debba intendersi “ qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica, in particolare testo o registrazione sonora, visiva o audiovisa”. Lo stesso Regolamento all’art 25 dedicato alle firme elettroniche dispone che “ad una firma elettronica non posso essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica“. Dunque un documento elettronico non può essere privato del suo valore probatorio, valutabile in sede giudiziale, ancorché trattarsi di una registrazione sonora, visiva o audiovisiva.

Il punto della questione non è solo tecnica, in merito ai requisiti di conservazione del formato dell’oggetto digitale, che comunque dovrà essere attentamente valutato  dal Responsabile della Conservazione, ma piuttosto di carattere giuridico/amministrativo e quindi appurare se per il documento amministrativo elettronico sono previste forme diverse da quella scritta, che come ricordato in elettronico possono spaziare anche ai documenti rappresentanti una riproduzione audiovisiva, visiva e sonora, sottoscrivibili con firma digitale.

Già più di un ventennio addietro, autorevole dottrina ha evidenziato che con l’adozione dell’informatica “si ha accrescimento dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma si hanno anche conseguenze organizzative indotte, nei rapporti interorganici, nelle imputazioni e nelle responsabilità.“[1] Osservazioni queste, quanto mai attuali che propongono un approfondimento delle forme documentarie utilizzabili nei procedimenti amministrativi, al fine di valutare quando la manifestazione su supporto informatico possa soddisfare le esigenze di certezza utili a preservare l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa come previsto dall’art. 97 della Costituzione.

Sintetizzando gli orientamenti in argomento si è sostenuto che per gli atti amministrativi non vigono regole generali riguardo ai modi di manifestazione delle volizioni in esse contenute, e che in difetto di espresse previsioni normative o di esigenze che inducano a scegliere particolari modalità di esternazione, l’amministrazione abbia una certa libertà nell’individuazione dei mezzi formali ritenuti più idonei[2]. Tuttavia la libertà nelle forme di perfezionamento degli atti amministrativi è suscettibile di essere derogata alla presenza di espresse disposizioni normative o quando la natura dell’atto renda necessaria la documentazione per iscritto[3]. Di fatto, appare indubitabile che, fatta eccezione per determinate situazioni, vi sia un generale vincolo della forma scritta che garantisce l’agire amministrativo. È fondamentale che gli atti prodotti dalle pubbliche amministrazioni siano documentati con modalità tali da rendere agevole il controllo sulla legittimità dell’operato dei pubblici poteri e la puntuale attribuzione delle responsabilità scaturenti dalla loro adozione[4]. In conformità a queste considerazioni deve quindi rivelarsi che la regola non è tanto quella della forma scritta, ma quella della necessaria documentazione di ogni operazione svolta e decisione adottata.

Le riflessioni appena svolte appaiono avvalorate anche dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui “anche in mancanza di una legge che imponga esplicitamente la forma scritta, deve ritenersi che gli atti della pubblica amministrazione, anche quelli privatistici adottati in regime di diritto comune, ma pur sempre funzionalizzati debbano scontare, come regola generale giustificata da esigenze di certezza nonché per facilitare il controllo dell’attività amministrativa in funzione del buon andamento della pubblica amministrazione, ex art. 97 Cost., la forma scritta ad substantiam e possano avere la forma orale soltanto quando la legge o altra fonte normativa lo stabilisca espressamente (es. ordini di polizia, atto convocazione giunta e/o consiglio per precisa previsione statutaria o regolamentare).[5]

È fondamentale, dunque, che gli atti posti in essere dalle pubbliche amministrazioni siano documentati con meccanismi tali da rendere agevole il controllo (anche giurisdizionale, ma non solo) sulla legittimità dell’operato dei pubblici poteri e la puntuale attribuzione della responsabilità scaturenti dalla loro adozione. Pertanto, anche in ipotesi di provvedimenti adottati con consessi amministrativi, benché il verbale non sia da identificare con l’atto adottato (che si manifesta oralmente, a seguito di una discussione in seno ad un collegio tale verbale appare comunque finalizzato a consentire una verifica delle determinazioni fatte proprio dal collegio[6]) e, pertanto, si rivela mezzo sufficiente rispetto allo scopo perseguito.

di Cesare Ciabatti

Esperto consulente e formatore per Enti Locali. Specializzato in amministrazione digitale e gestione archivi elettronici in ambito pubblico e privato.

[Contributor DocPaperless]

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[1] Cfr. M.S. Giannini, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Il Mulino, Bologna, 1986.

[2] Cfr. M.S. Giannini, Diritto amministrativo, III ed., vol. II, 1993, Giuffrè, Milano.

[3] Cfr. S. Cassese, Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo in generale, II ed., vol. I, Giuffrè, Milano 2003.

[4] Cfr. A.G: Orofino, Forme elettroniche e procedimenti amministrativi, Cacucci, Bari 2008.

[5] Tar Puglia Bari, sez.I, 20 maggio 2004, n. 2227; nello stesso senso Cons, St., sez V, 22 settembre 1999, n. 1136; Tar Veneto, sez. II, 30 aprile 1992, n. 395; Tar Lazio, sez. III, 24 settembre 1993, n 1560

[6] M.S. Giannini, Atto amministrativo, il quale ricorda che le delibere dei collegi amministrativi sono atti orali, poi documentati con la verbalizzazione

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